Lettera a Rexy, il mio nanetto guerriero

>> giovedì 22 gennaio 2015

San Lazzaro di Savena, Bologna.

“Non so da dove cominciare, Rexy.

Con Billy è stato più facile. Tutto era stato più facile. Lui viveva in un mondo tutto suo, e in quel mondo era sereno e tranquillo. Tu... be', con te è stata una continua guerra. Che tu hai vinto, su tutti i fronti, e che io sono stata felice di aver perso.

Mi eri stato segnalato per il blog dei cagnetti anziani: occhietti piccoli da cinesino, orecchie buffe, tanto tanto freddo nelle ossicine che sporgevano dal maglioncino improvvisato. Eri dolce e remissivo, mi dissero; eri sano. Eri delle dimensioni di un gatto, e i gatti non te li filavi proprio. Bastò questo a condurci fino alle porte di Verona, il 3 aprile del 2012. E poi, mentre ti tenevo goffamente in braccio per la prima volta, sentimmo un volontario chiedere: «Ma chi è che va via? Rex il pastore tedesco?» «No» rispose la responsabile, «se ne va Rexy il rompiballe.» 

E capimmo di esserci cacciate nei guai.

Perché sì, eri il Re dei Rompiballe, amore mio. Carattere dominante, determinato a imporre la tua legge in casa, su di noi e sui poveri mici a cui non hai dato tregua per mesi. Ricordo la mia disperazione, la mia paura di non poterti tenere con me e allo stesso tempo l'altra paura — ancora più grande — di riportarti in quel posto, oggi sotto sequestro, in cui mangiavi a stento e non avevi cure sanitarie. Riportarti lì avrebbe significato condannarti a morte. Riportarti in qualsiasi altro canile, abbandonarti, avrebbe significato spezzarti il cuore una volta per tutte, dopo che già eri stato cacciato via dalla tua famiglia nel 2011. Allora ho tenuto duro, nonostante tutto. Ho tenuto duro nonostante la depressione che mi consumava, lo stress continuo dei gatti, la tua positività alla leishmania, l'impossibilità di parlare di te a mia madre e quindi la necessità di coprire le spese folli per tenerti in pensione — la migliore possibile — durante le ferie. Ma quella prima, lunga separazione estiva ti cambiò: ti ritrovammo meno esagitato, più ragionevole, meno fissato con la caccia ai gatti. E cominciammo a innamorarci di te. 

Quanto ti ho viziato? Da matti. L'ultimo regalo te l'avevo fatto lunedì, e domenica già eri volato via. Ho ancora un promemoria di tutte le cose che volevo comprarti in questi giorni. La stavo allungando sempre più quando quella sera, mercoledì, ti sei svegliato all'improvviso che non ricordavi più come usare l'anteriore destra. Siamo volati in ambulatorio, sono iniziati tutti gli esami. Giovedì, dopo mezza giornata di ricovero per fare gli accertamenti, mi era stata proposta l'eutanasia per sospetta pancreatite. Non soffrivi, però, e a casa ti rilassavi e mangiavi come un lupetto. Ho scelto di andare avanti, di provare a combattere. E la dottoressa ti ha rimesso miracolosamente in piedi. Non solo non c'era pancreatite, ma camminavi di nuovo e meglio di prima. A me non sembrava vero, e sabato mattina mi pareva un sogno tornare a casa con te al guinzaglio, stanco ma perfettamente in grado di mettere le zampette una davanti all'altra. 

L'accordo era di tornare l'indomani per un'altra sessione di flebo, antidolorifici e cortisone, da fare in braccio a me, di nuovo, perché non ti stressassi troppo. E invece, quella maledetta domenica, siamo venuti lì per mettere fine alla tua vita. 

Avevi una neuropatia degenerativa, che aveva cominciato a manifestarsi nel 2013 con frequenti cedimenti alle zampe. All'epoca avevamo pensato a un tumore cerebrale, come era stato per Billy, ma una risonanza magnetica aveva scongiurato questo rischio e noi avevamo ripreso a respirare. Fra alti e bassi eravamo andati avanti; tu eri venuto con me in Calabria, avevi conquistato la mia famiglia, avevi imparato a convivere con i gatti, sia domestici che selvatici. Ma la malattia stava avanzando: da quasi un anno, ormai, ti svegliavi spessissimo durante la notte e mi costringevi a tirarmi su per risollevarti da terra o anche solo controllare che non combinassi guai. Nelle ultime settimane, erano diventate decine di sveglie ogni notte. Io ero sempre più stanca, e i nervi sempre più scoperti. Mi vergogno di aver alzato la voce con te, sopraffatta dalla frustrazione; mi vergogno di averti schiaffeggiato sul pannolino, di averti messo giù a dormire a cuscinate. Mi vergogno, e non me lo perdono. Avrei dovuto starti vicino sempre, con amore e con pazienza, anche se non dormivo quasi più e non potevo allontanarmi mai; persino prendermi un minuto per lavarmi le mani era diventato problematico e spesso impossibile, nelle ultime vacanze di Natale. 

Ma ci ho provato, tesoro mio. In tanti avrebbero messo fine alla tua vita già da mesi. Io no. Io ti avrei voluto ancora, anche così. Anche se avrebbe significato non dormire più, non uscire più di casa, dotarti di un carrellino. Anche se eri diventato così poco ricettivo agli stimoli, e reagivi solo — ma con gioia immensa — davanti al tuo amato petto di pollo. Dormivi in braccio a me, tranquillo, e io mi sentivo realizzata. Ecco, mi sarebbe bastato questo: vederti mangiare, vederti dormire quel poco che ti risultava accettabile, aiutarti a camminare per tutto il resto del tempo. 

Io ti volevo anche così: disabile, insonne, impaziente, un po' matto. 

Sabato sera, però, hai smesso di essere sereno. Alla fine di una giornata che credevo ideale, fatta di cure, di tranquillità, di pappa e di sole, la malattia è avanzata ancora. Ti abbiamo visto in preda al panico, che ruotavi senza sosta per la camera, ansimante e con gli occhi dilatati, spaventato da cose che il tuo cervello ti faceva vedere o sentire. Non volevi essere rassicurato; le carezze ti terrorizzavano ancora di più. Non volevi essere messo a nanna; saltavi su dal lettino come una molla. E così hai continuato a girare in cerchio per tutta la notte, come impazzito, con me che ti sorreggevo in lacrime dalla pettorina, completamente impotente e devastata dall'enormità della decisione che avrei dovuto prendere. 

Dopo Billy, lo avevo giurato; ai primi segni di sofferenza fisica o psicologica, non avrei mai più esitato. Tu avevi una salute di ferro, tale da meravigliare i dottori. Ma a cedere era prossima la tua mente. E non potevo rischiare di farti vivere una notte tremenda, un'altra notte di angoscia, come quella che era appena trascorsa. 

Allora, al mattino, ci siamo preparate. Hai voluto camminare ancora e hai lappato con me la tua ultima acqua. Ma eri stanchissimo, eri sfinito. Dopo tutte quelle ore avevi accettato finalmente di dormire, prima sulle mia gambe e poi nella tua cuccia bellissima, appoggiato all'adorato cuscino giallo. Da lì ti ho sollevato mentre respiravi forte con gli occhi serrati e, avvolto nella copertina più morbida, siamo andati a morire. 

Sì, tutti e due, perché con te sono morta anch'io. 

Te ne sei andato ben ritto sulle tue zampette. Te ne sei andato fiero e orgoglioso come sempre. Te ne sei andato senza soffrire, mentre le tue due ragazze ti si stringevano contro con tutto l'amore del mondo.

Tornerai a casa fra qualche giorno, verremo a prenderti. Una parte di te sarà sparsa qui fuori, nei luoghi che hai amato di più; tutto il resto rimarrà per sempre nella casa di campagna, giù al Sud, dove ti sei goduto il caminetto fino a due settimane fa e dove mi hai fatto da cavaliere, tante e tante volte. 

Tutti ti piangono. Noi non ci diamo pace. Tutta la tua famiglia non si dà pace. Mio padre, che da oltre quindici anni non mi telefona mai, ha chiamato in lacrime. Ti sei fatto amare, piccolo demonio. Ora sono libera di andare dove mi pare e di fare quello che voglio, ma c'è un problema: il mio unico desiderio è quello di stare con te. Mi manchi da impazzire.

Aiutami ad andare avanti. Prestami un centesimo della tua forza.
E bada ai tuoi amici per me. Soprattutto a Miao Miao. 
E grazie di avermi sopportato per quasi tre anni.
Grazie di essere stato mio amico.”


Con tutto il cuore, 

la tua Barbara


PS: Eri tu il maschio alfa tra noi due. Ma tu lo hai sempre saputo, vero?
:-)

4 commenti:

Anonimo 22 gennaio 2015 alle ore 22:47  

CIAO BARBARA, ero passata come ogni giorno per il sito ed ho letto questa bellissima lettera d'amore al tuo Rexy, mi ha commosso, come la tua dedica per Billy...ti sono vicina e prego per il tuo piccolo...
Maria Laura

Antebar 23 gennaio 2015 alle ore 11:39  

Grazie, Maria Laura. Sto ricevendo tante parole d'affetto, e pian piano sto ritrovando la forza di andare avanti. Grazie per il tuo grande cuore.

Anonimo 30 gennaio 2015 alle ore 15:58  

Povero piccolino, e'sempre un dolore quando se ne vanno. Io volevo pero' anche dirti: un'eutanasia per una pancreatite? Ma chi ha potuto proporre una cosa simile? Ho avuto due cani con la pancreatite,"dolorosa, difficile da stabilizzare ma non impossibile. Come si fa a proporre l'eutanasia? Un veterinario da riconsiderare secondo me.

Antebar 31 gennaio 2015 alle ore 11:43  

Grazie per la vicinanza, davvero. Temo di essermi espressa male: l'eutanasia era stata proposta sì per il sospetto di pancreatite, ma nel quadro generale di un cagnetto anziano con gravi problemi neurologici e motori. La dottoressa era stata molto onesta, in verità, dicendomi che la pancreatite (se presente) poteva essere curata e persino risolta, ma che dovevo valutare io se volevo sottoporre Rexy a ulteriore stress terapeutico, considerando che soffriva terribilmente qualsiasi forma di costrizione. Penso che tutti i dipendenti dell'ambulatorio avessero visto già prima di me quel che io mi rifiutavo di vedere, e cioè che la situazione stava degenerando rapidamente. Ma non mi pento di averlo riportato con me a casa quella sera, e di aver provato a lottare per i giorni successivi. Conservo il ricordo dolcissimo di quelle ultime notti, con lui che dopo tutte le cure dormiva finalmente sereno nel suo lettino o sulle mie gambe.

Mi manca sempre di più.

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